martedì 5 gennaio 2016

Il verme e l'ispettore della qualità




Qualche giorno fa ho avuto l'onore di scrivere un articolo per la rivista Forleader.
Per chi di voi non la conoscesse si tratta di una rivista online specializzata nella
leadership professionale.

Non si compra in edicola, anzi non si compra affatto.
La rivista  può essere solamente scaricata on line, in modo totalmente gratuito.
Mi sembra un'ottima occasione, considerando oltretutto la qualità della rivista.

Basta andare sul sito www.forleader.it ed il gioco è fatto.

Nel mio articolo parlo di qualità, argomento controverso che divide esperti del settore, che assilla professionisti ed imprenditori.
Ho cercato di mettere un po' di chiarezza o perlomeno di mettere qualche dubbio a chi ha certezze controproducenti in un mercato difficile come non mai.

L'articolo dal titolo "Il verme e l'ispettore della qualità" è solo uno dei tanti che puoi trovare nella rivista con temi che ruotano intorno alla leadrship professionale.


Non mi resta che invitarvi sul sito www.forleader.it per scaricare il vostro numero, al costo di un sorriso.

Buona lettura a tutti.

martedì 17 novembre 2015

L' altra faccia della leadership



Eccoci ancora qua a parlare di leadership, argomento trito e ritrito su cui tanto si è detto e non sempre in maniera illuminante.

Mi trovo spesso a leggere teorie, articoli, perfino best seller su questo tema rendendomi conto di quanto siano poco realizzabili i consigli scritti.
Quando una teoria non è applicabile non vale la pena perderci tempo.

Ve lo ricordo per non essere frainteso che stiamo parlando di ambiti professionali, di aziende, di luoghi in cui non sempre ciò che è giusto e bello accade.
Anzi, il giusto e bello non accade quasi mai.
Forse, parlando di leadership, avviene nello sport e in poche altre situazioni.
Nelle aziende però i meccanismi, le motivazioni, gli umori, le dinamiche sono decisamente complesse, soprattutto nel nostro paese.

Non voglio fare la parte di colui che disprezza il luogo in cui vive o che generalizza ma per esperienza personale vi assicuro che muoversi con serenità all’interno di un luogo di lavoro in Italia significa anche comprendere alcune leggi che sui testi non possono essere scritte, se vuoi anche venderli.

La leadership, ad esempio, è una dote che tutte le persone chiamate a guidare un gruppo di lavoro dovrebbe avere.
Parliamo naturalmente di leadership buona, quella illuminante, quella che non comanda ma che invoglia, quella che non spinge ma che attira, quella autorevole e mai autoritaria.
Nessuno si sentirebbe di negare queste teorie.
Nemmeno io.

Fatto sta che buttata giù così, come spesso accade nei testi di cui parlavo prima, mi sa un po’ di pubblicità del mulino bianco, dove la bella famiglia felice si sveglia bella e pimpante e si ritrova a tavola per una meravigliosa colazione.
La realtà è decisamente diversa e purtroppo o per fortuna io amo occuparmi della realtà.


Nei luoghi di lavoro non sempre è semplice motivare i propri collaboratori e mai lo è stato.
Negli ultimi anni è diventato ancor più complicato per due motivi ben precisi

  • In pochi hanno una necessità di lavorare paragonabile a quella di quaranta anni fa
  • Il lavoratore è diventato sempre più tutelato, informato e consapevole


State pur certi che se nei luoghi di lavoro funzionava ancora il vecchio metodo del bastone e la carota non ci ritroveremmo qui a parlare di leadership.
Oltretutto ci scommetto la testa che questa recessione economica, come riflesso, sta facendo riaffiorare nelle aziende figure più simili ai vecchi capi autoritari.

Fatto sta che nella trasformazione da capo a leader si è spesso perso di vista l’obiettivo fondamentale che si è chiamati a raggiungere quando all’interno di un’organizzazione si ricopre ruoli di responsabilità, ossia quello di ottenere risultati.
Come dicevo, il bello e giusto non sono cose di questo mondo e ancor di più non devono venir prima delle mete.

Avere luoghi di lavoro in cui si respira un clima di rispetto, di comprensione e di benessere è certamente un bene, nella misura in cui comunque il lavoro venga svolto nei tempi e nei modi richiesti.

Non fraintendetemi, non sto dicendo che bisogna tornare ai tempi in cui l’unica motivazione valida nei confronti dei collaboratori consisteva nel porre davanti al bivio “o fai come dico io o sei fuori”.

Ciò che però noto con troppa frequenza è un atteggiamento, da parte di chi si proclama o viene proclamato leader, di assenza di frizioni a tutti i costi, perché un leader non urla, non comanda, non si mette mai in contrasto con i propri collaboratori.

Tutto buono, solo ed esclusivamente se i risultati tangibili danno ragione.
Purtroppo però quasi mai questo avviene, come la pubblicità del mulino bianco.
Perché siamo umani, diversi l’uno dall’altro e ciò che può motivare o comunque portare all’azione alcuni non vale per altri.

Tanto che sempre più spesso si parla di leadership situazionale, quella che più di ogni altra ritengo efficace, dove un leader deve essere capace di saltare da uno stato all’altro, da un atteggiamento all’altro in base a situazioni e persone differenti che incontra sulla strada.
Arriverà allora inevitabilmente il momento in cui ci si dovrà scontrare, magari anche duramente, con i propri seguaci.
E non si può, anzi non si deve evitare, far finta di, chiudere un occhio e a volte tutte e due.
Volente o nolenti si dovrà fare la cosa giusta.

Oltretutto chi è leader o chi vorrebbe esserlo deve avere la consapevolezza che tra lui ed i vecchi capi, quelli bastardi dentro, non c’è una gran differenza.
Sono solo due modi differenti di fare la stessa cosa.
Anzi, a volte, quando si è in presenza di un leader altamente carismatico, la sua influenza può essere molto più subdola di quella di chi apertamente  trattava male i propri collaboratori.

La responsabilità in questo caso è forte, molto più di un tempo, perché i seguaci saranno disposti a seguire il proprio leader anche verso le destinazioni più sbagliate.

Attenzione allora a parlare di leadership con troppa superficialità, limitandosi ad elencare le differenze fra lui ed il capo o fra lui ed il manager, troppo semplice, troppo poco efficace.
La leadership ha molte facce e la realtà è molto più complessa della teoria.

A volte un giretto nelle aziende dove poveri cristi partono da casa alle 5 di mattina, cercando di capire come trovare un grande “perché” a far bene e meglio ogni giorno quel che fanno, non farebbe male ai tanti, troppi guru in giro per il paese.

venerdì 9 maggio 2014

L'importanza della comunicazione in azienda



Se dovessi scegliere la regina delle abilità trasversali la corona spetterebbe certamente alla comunicazione efficace.
Ritengo che non esista ambito in cui questo non sia vero.

La comunicazione, del resto, è il mezzo attraverso il quale ci interfacciamo con gli altri e attraverso il quale cerchiamo di ottenere i nostri obiettivi.

La capacità di comunicare in modo efficace diventa più importante se chi la utilizza ha un ruolo chiave all'interno dell'organizzazione, quindi amministratori delegati, manager, leader di vari livelli.

Questo risulta sempre più evidente  andando avanti nel tempo considerando i cambiamenti che l'azienda in generale ha vissuto negli ultimi anni (sto parlando degli ultimi 100 anni)

Questi cambiamenti possono essere suddivisi in 3 grandi periodi e decritti da altrettante teorie:
  • La teoria tayloristica
  • La teoria della scuola delle relazioni umane
  • La teoria della gestione totale della qualità
Nella prima fase le aziende erano gestite attraverso un management scientifico il quale affermava che per ogni compito da effettuare esisteva una ed una sola modalità, the one best way.
La struttura aziendale era di tipo piramidale e fortemente gerarchica e il lavoratore non aveva un ruolo cruciale ma era piuttosto considerato semplice esecutore di compiti e mansioni ben definite.

Intorno agli anni '50 si sviluppa la scuola delle relazioni umane, basandosi sugli studi di tale Elton mayo, grazie alla quale si pone più attenzione al lato umano con il tentativo di migliorare le motivazioni dei lavoratori e il clima aziendale.

Tale sviluppo continua fino ad arrivare, intorno agli anni '80, alla nascita della teoria della gestione totale della qualità grazie alla quale si mette al centro dell'attenzione la soddisfazione del cliente, inteso sia come utente finale del prodotto/servizio ma anche come risorsa umana interna all'organizzazione.
Si sviluppa quindi un'attenzione particolare a:

  • Importanza del lavoro di gruppo
  • Diffusione delle informazioni a tutti i livelli (l'informazione non ha più un flusso esclusivamente verticale dall'alto in basso ma anche orizzontale e trasversale)
  • Valori condivisi
  • Snellimento nei flussi di lavoro
Allo stesso tempo cambiano le dinamiche all'interno delle organizzazioni in quanto chi ne fa parte non ha più gli stessi bisogni di un tempo e va alla ricerca di soddisfazioni diverse.
Per capirci, mio nonno aveva la necessità di portare a casa la pagnotta molto più forte di quanta ne abbia io oggi e Maslow ci insegna che una volta soddisfatta una scala della piramide dei bisogni passi alla scala successiva, fatta di soddisfazioni, riconoscimento da parte degli altri, appartenenza al gruppo e autostima.

Per non farci mancare nulla c'è un enorme appiattimento intellettuale fra i ruoli. Il lavoratore è molto più istruito ed informato di un tempo, conosce norme e diritti a volte molto meglio di chi tenta di comandarlo.

Di fronte a questo scenario non è difficile capire che trovarsi a ricoprire ruoli chiave è diventato e diventerà estremamente più difficile, causa per la quale l'abilità di comunicare in modo efficace diventa sempre più importante. 

Abilità che non prevede solo ed esclusivamente la capacità di esprimere le proprie idee ma:
  • Capacità di ascoltare (ed osservare)
  • Intelligenza emotiva, ossia la capacità di riconoscere e gestire le proprie e le emozioni altrui
  • Rispetto di idee e visioni degli altri
  • Utilizzo della comunicazione per il raggiungimento degli obiettivi aziendali e non per i propri.
  • ...

Se nel tuo lavoro non riseci ad ottenere dagli altri i risultati e le reazioni sperati, è estremamente probabile che la colpa sia solo ed esclusivamente tua.

Inizia a cambiare il tuo modo di comunicare,  spostando la tua attenzione da quel che dici al modo in cui lo dici.
Prima di aprire bocca prendi in considerazione aspetti fondamentali ponendoti le seguenti domande:

  • Mi trovo nello stato ottimale per affrontare questa comunicazione?
  • L'altro si trova nello stato ottimale per affrontare quel che ho da dire?
  • Ho il tempo necessario per affrontare la comunicazione?
  • Cosa voglio ottenere dalla mia comunicazione?
  • Quali reazioni potrei provocare nell'altra persona?
Già queste poche e semplici domande potrebbero migliorare la tua modalità e, di conseguenza, i tuoi risultati.

Se sei interessato ad altri post inerenti la comunicazione efficace prova a leggere Il fattore culo nella comunicazione e l'abilità di stare zitti




domenica 13 aprile 2014

Come sopravvivere al capo stronzo



Nella formazione ogni step ha la sua fondamentale importanza anche se molti miei colleghi si focalizzano un pochino troppo sulla parte dell'erogazione ossia sul momento in cui si trovano in aula di fronte ai discenti.

Quella che secondo me invece è la parte più importante è quella denominata "analisi dei fabbisogni formativi", attraverso la quale ogni formatore dovrebbe analizzare quali sono le reali esigenze di chi si ritroverà ad ascoltarlo.

Un piccolo problema nasce dal fatto che non sempre (meglio dire quasi mai) chi richiede la formazione sono le stesse persone che poi ne usufruiranno.
Soprattutto nella formazione aziendale a decidere sarà il titolare, il quale per natura ha la convinzione di sapere esattamente di cosa hanno bisogno i propri collaboratori.

Secondo la mia opinione la formazione deve rappresentare qualcosa di più di un semplice intervento che aumenti le conoscenze dei corsisti e deve poter apportare una vera e propria trasformazione del lavoratore al fine di migliorare le sue prestazioni e il suo benessere all'interno del sistema azienda.

Per far si che questo avvenga è necessario comprendere quali sono le difficoltà ed i meccanismi presenti all'interno di tale sistema attraverso l'interazione con tutte le sue parti e non solo con una (il titolare).
Quest'ultimo, dal suo punto di vista, vede spesso solo nei difetti dei propri collaboratori, a livello tecnico o motivazionale, le cause della poca efficacia della propria organizzazione.

Naturalmente pochissimi capi d'azienda sono disponibili a farti scorrazzare nel proprio mondo al fine di capire a pieno quale sarebbe l'intervento più efficace da applicare e quindi si è costretti spesso a costruire un intervento formativo che man mano verrà modificato in essere (una volta a contatto con i diretti interessati).

Spesso (e quando dico spesso non significa sempre) e volentieri si scopre, a volte troppo tardi, che chi in realtà mantiene in vita meccanismi poco funzionali per la propria azienda è lo stesso titolare, il quale però non è così umile da mettersi in discussione.

E così ci ritroviamo di fronte a veri e propri capi stronzi, che con il loro comportamento e le loro convinzioni non fanno che impedire ai propri collaboratori di esprimere il meglio, creando un clima aziendale a dir poco non funzionale.
Gli atteggiamenti che ne scaturiscono non sono che normali atti di difesa di chi invece vorrebbe poter dare il proprio contributo alla struttura di cui fa parte.
Si vedono allora dei veri e propri talenti ritenuti dei nulla facenti o delle emerite capre illudere il proprio padrone di svolgere un ottimo lavoro.
Per non parlare del fatto che nel nostro paese, per quanto se ne dica, i migliori sono sempre ritenuti quelli che fanno parte della cricca del capo, quelli che sanno cogliere le giuste occasioni, quelli che si fanno grossi sparlando del collega.

Il problema è proprio qui. Un capo stronzo, di solito crea un'organizzazione stronza nel quale per poter aver successo bisogna essere a sua volte degli stronzi, oppure, come ancora di salvezza, far finta di esserlo.
Per poter far questo però è necessario metter da parte valori, etica e buoni propositi.

Se non ce la fate avete due alternative, il licenziamento e l'esaurimento nervoso, quindi il mio consiglio, nel caso in cui vi troviate nella situazione descritta è proprio quello di adattarvi al sistema, prendendovi gioco di capi e colleghi stronzi e, fidatemi di me, far finta di esser stronzi è più facile di quel che sembra.

giovedì 27 marzo 2014

Perché mi incazzo quando entro in un ristorante



Il nostro paese è in recessione.
Lo sapevate vero?

Si, lo so, non è che ho trovato l' uovo di colombo eppure qualcuno continua a confondere la recessione con qualcosa di passeggero che tanto a breve finirà.
Quando ai miei clienti dico che la famigerata crisi non finirà o comunque non a breve, mi accusano di pessimismo.
Quando gli dico che per ottenere risultati migliori dovrebbero immaginare di svegliarsi oggi nella realtà attuale ed iniziare da li, come se i tempi andati non si conoscessero affatto, come se non ci fosse mai stata quella parentesi meravigliosa in cui i clienti venivano da te senza che tu facessi una mazza, mi guardano come guarderebbero un becchino.
In fondo il mio lavoro non consiste nell'essere simpatico ma nell'essere efficace ad aiutare il cliente a trovare le migliori soluzioni e preferisco di gran lunga vederli sorridere alla fine che all'inizio.

Quando vedo un' azienda che lavora male, un negozio con commessi scortesi, una parrucchiera che non sa fare il suo lavoro mi sfastidio ma quando entro in un ristorante e vedo delle cose che non vanno mi incazzo come una bestia.

Questo perché nel mio immaginario il ristorante è l'attività per eccellenza in cui con un buon marketing, un buon approccio il cliente ed un minimo di fantasia si possono ottenere risultati eccellenti.

Quando entro in un ristorante, invece, la prima cosa che noto è tutto ciò che non va e non mi riferisco a tavoli mal apparecchiati o camerieri con il muso.
Mi riferisco piuttosto a tutte quelle incongruenze fra i vari aspetti che creano l'identità del locale stesso.

Entri un un locale che si chiama "IL CASTELLO DEI PRINCIPI" e trovi un servizio da bettola.

Entri in un locale con le posate d'argento e prezzi alle stelle e la cameriera non sa se servirti da destra o da sinistra.

Entri in un locale con tutti tavoli a lume di candela e alle 20:45 in punto si accende il televisore per il derby.

ED IO MI INCAZZO!!

Mi incazzo perché a volte a fare la differenza sono proprio le piccole cose che io vedo in modo palese ma che qualsiasi cliente, magari a livello inconscio, percepisce come stonature, come incoerenze fra quel che si è e quel che si dice di essere, fra ciò che si fa pagare e quel che si offre, fra nome e ambiente del locale.

Queste incoerenze si trasformano nella mente del cliente in confusione. 
Significa che il cliente non riesce ad associare al vostro locale un'identità ben precisa, non riesce a dire "vado da PEPPE IL TARTUFARO perché...."
Succede allora che il cliente sperimenta, oggi qui, domani la, dopodomani forse passerà da voi ma sarà certo che non resterà mai fedele ad un locale che non ha una forte identità.

Cosa fare allora?
Quello che io faccio con i miei clienti, delle belle domande:

  • Quali valori voglio esprimere alla mia clientela?
  • Qual'è il mio target di riferimento?
  • Cosa esprime l'ambiente del mio locale?
  • Quale livello di competenze ci sono nel mio locale?
  • Quali sono i comportamenti utilizzati di solito con il cliente?
Se le risposte a queste domande sono incoerenti fra loro avete un problema e dovreste rimettere in discussione alcune scelte fatte, altrimenti siete già ad un punto discreto.

Il marketing è l'insieme delle azioni attraverso le quali potete influire sulla scelta finale del cliente, dal modo di rispondere al telefono fino a come lo saluterete alla fine di un buon pasto.
Non ci sono modi buoni o cattivi di farlo, ci sono modi coerenti o incoerenti, tutto qua.

venerdì 7 marzo 2014

I veri leader non accettano scuse



Continuando a parlare di leader e delle abilità indispensabili che li debbono accompagnare è importante affrontare anche quali sono i comportamenti che un leader dovrebbe tenere per ottenere risultati migliori per se e per gli altri.
Ricordiamo che essere leader, soprattutto in azienda, significa innanzitutto portare a casa risultati ma anche riuscire a far crescere i propri collaboratori e che le abilità, i valori e la vision vengono sempre prima dei comportamenti ma non per questo non sono da considerare.

Oggi vedremo come a volte leader che hanno tutte la carte in regola per ottenere buoni risultati si perdano poi in piccoli comportamenti sbagliati, a volte apparentemente innocenti.

Uno di questi è quello di accettare dai propri collaboratori delle scuse.

Generalmente lo schema è questo:
  1.         Il leader assegna un compito al proprio collaboratore, dando delle scadenze
  2.         Il leader verifica al momento della scadenza se il collaboratore ha effettuato il proprio lavoro
  3.         Il collaboratore risponde di no, accompagnando la risposta con tutti i motivi (scuse) per cui non ha svolto il suo compito
  4.        Il leader accetta tale comportamento

Il punto 4 è il reale errore del leader ossia quello di accettare delle scuse come risposta.
Quale dovrebbe allora essere il comportamento corretto? Semplicemente ignorarle.

Nel momento in cui il collaboratore inizia ad elencare tutti i motivi che gli hanno impedito di effettuare il proprio lavoro il leader dovrebbe semplicemente dire “non mi interessa” per poi fare la domanda magica “Quando pensi di farlo?”

In quel momento il circolo vizioso ricomincia da capo ma a questo punto, per il collaboratore, deve essere chiaro che una seconda possibilità non gli verrà data e quindi, nel caso di nuova inadempienza, il “secondo punto 4” si trasformerà in una bella bastonata al proprio collaboratore.

Il fatto di non accettare scuse non solo fa si che il proprio collaboratore sia spinto a non commettere lo stesso errore una seconda volta ma soprattutto fa comprendere alla squadra la propria mentalità.
Il fatto di non accettare mai scuse farà si, nel tempo, che ai vostri collaboratori non verrà più in mente di darvele.
Quando domanderete “Lo hai fatto?”, invece di dirvi “no, perché…..” vi diranno “no, lo faccio domani/fra un minuto…”

Riepilogando, lo schema corretto deve essere:
  1.        Il leader assegna un compito al proprio collaboratore, dando delle scadenze
  2.        Il leader verifica al momento della scadenza se il collaboratore ha effettuato il proprio lavoro
  3.        Il collaboratore risponde di no, accompagnando la risposta con tutti i motivi (scuse) per cui non ha svolto il suo compito
  4.        Il leader si disinteressa delle scuse, interrompendo il collaboratore e chiedendo immediatamente “Quando pensi di farlo”

Semplice, chiaro ma soprattutto EFFICACE!


Buona leadership a tutti

giovedì 20 febbraio 2014

Qual'è l'abilità mancante di molti leader?

Sulla leadership è stato detto molto, probabilmente anche troppo.

Certo è che essere leader è realmente uno dei ruoli più complessi da svolgere, in particolar modo nel mercato attuale.
Il leader deve garantire performance di uno standard adeguato, sia sue che del suo team e per fare questo ha bisogno di avere abilità non sempre facili da acquisire.
Oltretutto oggi la vecchia metodologia "Io ordino e tu esegui" non è più efficace come un tempo per diversi motivi e questo ha obbligato i leader moderni ad imparare o a tentare di imparare nuove nozioni ed implementare nuove qualità.

Il leader di oggi oltretutto non può accontentarsi di avere solo alcune di queste abilità ma deve essere in grado di implementarle tutte.
Più facile a dirsi che a farsi.
Il risultato è che difficilmente in un' azienda troveremo di fronte a noi un leader perfetto o per meglio dire un leader completo.

Nella mia esperienza, fra le tante abilità necessarie, ce n'è una che più di altre manca all' appello di moltissimi leader ossia la CAPACITA' DI DELEGARE.

Nonostante si parli sempre più di aziende "lean" ossia "snelle" capita spesso che a rallentarle siano gli stessi leader.
Questo non tanto perché non sappiano cosa devono fare e come delegare i compiti ma proprio perché non ci riescono, è più forte di loro.
Soprattutto nel caso di "leader nati" ossia di chi naturalmente ha un certo carisma sugli altri e di conseguenza si è abituato nel tempo ad essere protagonista della situazione resta difficile lasciare il campo agli altri e mettersi "da parte", anche se in realtà non è proprio questo il senso del delegare.

Sta di fatto che in un'azienda dove le informazioni e compiti da svolgere dovrebbero circolare il più velocemente possibile, alcuni leader hanno il vizio di andare a dare una "sbirciatina" a fare un "controllino" al lavoro altrui e, nei casi peggiori, tendono a dire "lascia stare, faccio prima a farlo io che a spiegarti come fare".
In realtà questa non è che una scusa per accentrare su di se i poteri volendo dimostrare che senza di lui l' azienda non va proprio avanti, che i propri collaboratori non sono in grado e che deve fare tutto da se, quando è lui il primo a non lasciare agli altri la libertà di fare.

Nei casi meno gravi il leader delega agli altri, dando però per filo e per segno le indicazioni per una perfetta (secondo lui) riuscita del lavoro senza accettare in nessun modo iniziative da parte altrui.
Questo in realtà non è delegare ma creare piccole repliche di se.

La capacità di delegare è una delle più difficili perché prevede innanzitutto la capacità di fidarsi delle persone e se nella tua testa sei bravo solo te sarà molto complicato dare fiducia ad un altro.
Il risultato finale è che spesso si vedono leader o titolari di azienda correre dalla mattina alla sera con attorno collaboratori che si grattano e che diventano sempre più insoddisfatti del proprio lavoro.

Anche se questi leader si lamentano sanno benissimo che questa situazione gli piace visto anche  che sono loro a mantenerla viva.

Come non ricordare allora una delle frasi che più amo sulla leadership:

 Metti in discussione te stesso prima di mettere in discussione il team (Jürgen Gröbler, coach di squadre olimpiche di canottaggio, 11 ori olimpici consecutivi)